LE ANTENNE

COS'E' UN' ANTENNA?

Naturalmente il fattore del guadagno dipende anche da altre caratteristiche proprie dell’antenna,

come la sua conformazione fisica. Per offrire un esempio concreto e a tutti

noto, le antenne per la ricezione dei segnali TV presenti sui tetti delle nostre case sono

di tipo direttivo, dunque, esprimono il massimo del loro rendimento in una direzione

specifica, il che le rende ad alto guadagno ma ci costringe a puntarle in direzione della

stazione trasmittente.

Tutto questo ragionamento vale anche per le antenne omnidirezionali, proprio perché è

sacrificata la trasmissione sul piano verticale, ossia verso l’alto e verso il basso.

Ottenere valori di guadagno elevati con questo tipo di antenne dipende da altri fattori

oltre che dalla sua forma fisica. Innanzi tutto le dimensioni, in relazione alla frequenza

sulla quale la nostra antenna è chiamata ad operare.

La lunghezza fisica dell’elemento radiante è dipendente dalla lunghezza d‘onda della frequenza

sulla quale perare.

Per far comprendere bene questo ragionamento dobbiamo necessariamente fare un passo

indietro e ricordare che i valori di C, la velocità della luce pari a 300.000 km/s, di f, la frequenza

che si esprime in Hz e per comodità in KHz ci permettono di ricavare la lunghezza

d’onda mediante una semplice divisione.

Riprendiamo allora l’esempio riportato in precedenza per una frequenza di 150 MHz, ossia

150.000 KHz, che ha una lunghezza d’onda pari a due metri. Teniamo a mente questo

ragionamento e ricordiamoci che la nostra lunghezza d’onda è pari a due metri.

Ora cercheremo di spiegare semplicemente cosa è realmente un’antenna.

Abbiamo detto in precedenza che un segnale elettrico sottoposto a variazioni di campo,

in questo caso determinate dalla frequenza, determina una variazione del campo magnetico

e viceversa, dando così origine all’onda elettromagnetica, costituita da anelli di

campo elettrico alternati ad anelli di campo magnetico ad essi perpendicolari.

Da un punto di vista elettrico l’antenna è un circuito risonante in serie, dove in questa

sede per risonante cerchiamo di intendere esclusivamente come adattato alla frequenza

che ci interessa utilizzare. La tentazione di passare per una spiegazione più approfondita

a questo punto è forte, ma consapevoli che chi sta leggendo queste righe vuole le cose

semplici per capire le nozioni di base e non per costruire antenne, non andiamo oltre.

Diciamo sinteticamente che le antenne sono dispositivi capaci di convertire un segnale

elettrico in onde elettromagnetiche e di irradiarle nello spazio circostante, ma anche di

riceverle ovviamente.

Il generatore, ossia il nostro trasmettitore, produce un segnale elettrico contenente l’informazione

da trasmettere, sia essa analogica o digitale, il quale è trasportato dalla nostra

linea elettrica, il cavo d’antenna per intenderci, all’antenna che trasmette. Proviamo a

vedere ora come è fisicamente realizzata un’antenna.

 

SWR (ROS): ONDE STAZIONARIE DI RITORNO

È la parte di radiofrequenza che l’antenna non irradia a causa del ritorno di onde stazionarie.

Un rapporto di 1.5:1 è considerato il massimo accettabile. Tuttavia, il ritorno di onde

stazionarie dipende anche dalla posizione dell’antenna, che deve essere ad una distanza

minima di 1 m da qualsiasi altro elemento metallico. In situazioni diverse, il valore di SWR

misurato sulla barca può differire da quello misurato in laboratorio.

L’ANTENNA HERTZIANA

Il primo esempio di elemento radiante ci è offerto da Hertz, dal quale prende il nome l’antenna

Hertziana. Si tratta di un’antenna la cui lunghezza totale è pari alla metà della lunghezza

d’onda, e in cui la linea si divide in due parti uguali. Questo tipo di antenna è molto

usata nel sistema cellulare per ponti radio e trasmettitori, per sistemi radiotelevisivi.

 

L’ANTENNA MARCONIANA

L’altra antenna nota ai più anche perché di uso più comune è quella marconiana, ossia, si

compone di uno stilo unico avente la lunghezza totale pari a un quarto della lunghezza

d’onda.

 

LE DIMENSIONI DELLE ANTENNE

Ora non è difficile immaginare che su frequenze molto basse, la lunghezza d’onda ha un

valore molto elevato, nel caso delle LF per esempio, come è possibile vedere nella tabella

delle frequenze riportata in precedenza, possiamo arrivare anche a 1 Km, il che significa

nel caso dell’antenna hertziana una lunghezza dell’elemento radiante di ben mezzo chilometro,

mentre nel caso dell’antenna marconiana di ben 250 metri. Esistono dei sistemi

che permettono di avere un’antenna operante su frequenze simili superando questo problema,

tali sistemi permettono di ottenere quelle che tecnicamente si chiamano antenne

caricate. Questo risultato si ottiene solitamente con l’aggiunta di induttanze o capacità

che permettono di adattare la lunghezza dell’elemento radiante per farlo risuonare sulla

frequenza di nostro interesse.

Questa spiegazione serve per far capire come mai in commercio esistono antenne VHF

che possono essere lunghe pochi centimetri come quelle dei portatili, o addirittura sei

metri come quelle ad alto guadagno da installare sulla propria barca, passando per quelle

di media dimensione che possono essere più corte di un metro o di circa due metro e

mezzo. Dunque, partendo dal nostro calcolo iniziale su una frequenza di 150.000 KHz,

abbiamo detto che la lunghezza d’onda è di 2 metri, dunque, un’antenna dovrebbe per

logica essere alta non più di 50 cm se è di tipo marconiano.

Giusto, ma solo in parte, perché gli esperimenti eseguiti da chi ha studiato questo fenomeno,

dimostrano che un’antenna se ha dimensioni proporzionalmente maggiori, dunque

di un metro per essere realizzata a un mezzo della lunghezza d’onda, di due per

essere collineare, ossia della stessa lunghezza fisica dell’onda, o addirittura di dimensioni

maggiori, sempre in modo proporzionale, offre un rendimento maggiore.

Tecnicamente un’antenna più lunga della lunghezza d’onda su cui è chiamata ad operare

deve essere adattata come nel caso di quelle più corte descritto poco sopra, ma il risultato

è decisamente migliore, soprattutto quando si parla di frequenze elevate, come le VHF

marine, che operano intorno ai 156 MHz, ragione per cui abbiamo fatto i nostri calcoli e le

nostre considerazioni su una frequenza di 150 MHz.

“1 EURO PER LA RADIO 100 PER L’ANTENNA”

Bene, se avete letto tutto sin qui siete già in grado di comprendere perché utilizzando

due apparati radio identici, di pari potenza, ma accoppiati a due antenne differenti, con

uno comunicate a grande distanza e con l’altro no. Un vecchio detto degli operatori radio

recitava più o meno così: “spendi 100 lire sulla radio ma 1.000 sull’antenna”.

Si parlava ancora di lire e viste le cifre non deve essere cosa recente, per questo nel titolo

l’abbiamo attualizzata, però questa enunciazione ci serve per comprendere quanto sia

importante l’antenna nel delicato gioco delle trasmissioni via radio. Molte volte in banchina

è capitato di sentire commenti del tipo: “devo cambiare l’antenna del VHF, ora vado

e ne compro una, tanto una vale l’altra”.

Niente di più sbagliato. Un’antenna con 3 db di guadagno mi assicurerà un’omnidirezionalità

elevata ma un rendimento decisamente inferiore rispetto a una 6 db o addirittura a

una 9 db. Certo dobbiamo fare i conti con il mezzo su cui dovrà essere installata, ovviamente

per il ragionamento appena descritto una 9 db sarà di dimensioni elevate, di solito

circa 7 metri, mentre una 3 db non raggiunge il metro, però si addice all’installazione in

testa d’albero di una barca a vela, in quanto l’ampio fascio di trasmissione le permette di

essere efficace anche a scafo sbandato. Però questo dimostra che non è affatto vero che

una vale l’altra, se poi consideriamo che la differenza è fatta anche dai componenti con

cui è realizzata allora ci accorgiamo che ogni antenna è storia a sé.

 

Un altro elemento da tenere in considerazione è il posizionamento della nostra antenna

VHF, che non può essere casuale, anche in funzione del calcolo della portata teorica che

ora spiegheremo. Soprattutto per quanto riguarda le frequenze più alte, quindi le VHF, le

UHF e SHF impiegate dai radar, la propagazione avviene per onda diretta.

Dunque, come abbiamo già accennato si propagano come fossero onde luminose, quindi

a portata ottica. Esiste una formula semplice per calcolare la portata teorica delle trasmissioni

in altissima frequenza dalla quale si riesce ad avere un’idea delle differenze di risultato

montando su una barca a vela per esempio, l’antenna sul pulpito di poppa piuttosto

che in testa d’albero.

La formula è

dove D è la distanza teorica di comunicazione

espressa in km, 4 è un fattore fisso, htr è l’altezza in metri dell’antenna trasmittente e hric

l’altezza in metri dell’antenna ricevente. Tale formula tiene conto anche delle possibilità

offerte dalla radiofrequenza di propagarsi anche oltre l’orizzonte ottico per effetto della

diffrazione, però dobbiamo considerarla già il massimo ottenibile, questo per ragioni di sicurezza.

Dunque, proviamo ora a calcolare che possibilità di collegamento a distanza con

il VHF hanno due barche, delle quali una con un’antenna posta in testa d’albero, diciamo

a 9 m di quota, l’altra a motore con antenna posta sul fly a 4 metri. Applicando la formula

appena descritta avremo 12+8= 20 km, pari a 10,79 miglia. Ora, proviamo ad applicare la

stessa formula relativamente a due barche a vela con antenna in testa d’albero sempre a

9 metri di quota, il risultato sarà di 12+12=24 paria a 12,95 miglia.

Ora invece, facciamo installare alle due barche a vela le antenne sul pulpito di poppa, diciamo

a 2,25 m dalla superficie, avremo 6+6= 12 km, pari 6,47 miglia. Non è difficile intuire

quanto sia importante la posizione dell’antenna, oltre che le sue caratteristiche elettriche.

Inutile dire che le distanze appena esposte sono il massimo ottenibile, il che significa che

non ci si può illudere di comunicare a tali distanze con il portatile e la sua piccola antenna

se con un banzico ci si fa issare in testa d’albero, naturalmente il discorso che abbiamo

fatto in precedenza sul guadagno di un’antenna influisce in maniera importante su tutto

il ragionamento legato alla portata massima.

Dunque, sperando di non essere stati complicati, ma di essere riusciti a svelare qualche

piccolo segreto delle antenne in maniera semplice ed efficace passiamo ora ad affrontare

altri aspetti importanti delle trasmissioni radio.

LE MODALITA' DI TRASMISSIONE

Abbiamo cercato di spiegare nel più sintetico dei modi cos’è un’onda radio e come essa

è propagata nello spazio in funzione del valore di frequenza. Ora è interessante analizzare

le principali modalità di trasmissione dei segnali che ci interessano, sia che si tratti della

voce o di trasmissioni digitali. Prima di cominciare a parlare delle più comuni modalità

di trasmissione, un cenno al Morse o CW (continuos wave) che dir si voglia, mi sembra

quantomeno doveroso, non fosse altro che proprio con trasmissioni di questo tipo furono

effetuati parte degli esperimenti che portarono alla radio così come oggi la conosciamo,

anche se, fu l’ampiezza modulata a rappresentare la più facile delle modalità da impiegare.

Inoltre, per i naviganti il codice Morse ha rappresentato molto spesso in tempi lontani

l’unico modo per comunicare, in quanto per alcune sue particolarità, che vogliamo

sintetizzare nella possibilità di rendere intellegibili anche segnali deboli e disturbati a

differenza della fonia, la sua efficacia non aveva rivali.

Si consideri inoltre che, problema molto sentito in passato per la complessità degli apparati

di allora, una trasmissione Morse per essere efficace richiede molta potenza in meno

di quanta non ne serva con altre modalità, in particolare con l’ampiezza modulata (AM) o

la frequenza modulata (FM). Non ci arrampicheremo sugli specchi per rendere la spiegazione

di questo fenomeno semplice, ma è importante sapere che il Morse tramite codici

internazionali permetteva di comunicare ovunque e con chiunque superando egregiamente

la barriera linguistica. I satelliti oggi permettono di comunicare con potenze relativamente

ridotte e con una facilità in altri tempi impensabile. Inoltre, nel tempo sono

state sviluppate diverse modalità di trasmissione che permettono di ricevere via radio un

fax, un messaggio scritto, un’immagine fotografica, una trasmissione video. Insomma, il

progresso tecnologico ha messo da parte il papà di tutte le trasmissioni radio, eppure, nel

mondo esiste una gran quantità di gente che lo utilizza ancora per comunicare, principalmente

a scopo ricreativo, ma anche qualche marina militare continua ad utilizzarlo.

Tutti hanno un’idea del fatto che una volta un segnale di soccorso si identificava come

SOS, ma pochi sanno che in realtà questo segnale nasce per esigenze legate alla musicalità

propria del codice morse, in quanto la S si compone di tre punti, ossia tre trasmissioni

di brevissima durata, mentre la O da tre linee, dunque, SOS era facilmente identificabile

in mezzo a qualsiasi tipo di traffico o di disturbo proprio per la sua ritmica, che era ti ti ti

ta ta ta ti ti ti, dove ti sono i punti e ta le linee. Il significato dell’acronimo SOS è Save Our

Soul, salvate le nostre anime, una chiara richiesta di soccorso.

Bene, passiamo ora alle modalità più in uso ai giorni nostri, in particolare a quelle che

solitamente usiamo a bordo della nostra barca, come la frequenza modulta (FM) con il

nostro VHF, il nostro cellulare, la ricezione dei segnali radio commerciali sulla banda da

88 a 108 Mhz, la ricezione dei segnali video terrestri e satellitari etc., poi parleremo delle

trasmissioni in banda laterale, ossia SSB che sta per single side band, a sua volta divise in

USB e LSB, dove la prima significa Upper Side Band e la seconda Lower Side Band, ossia

banda laterale superiore e inferiore.

Accenneremo anche alle trasmissioni in ampiezza modulata, l’AM, utilizzate dalle radio

commerciali sulle onde medie e corte e per le comunicazioni aeronautiche, nonché dai

noti baracchini in banda CB. Esistono poi diverse modalità che permettono di trasferire

da un punto a un altro messaggi scritti, come per esempio la ISB, indipendent side band,

utilizzata dalla trasmissione in FSK, ossia frequency shift key, che è quella utilizzata dalle

telescriventi. Poi esistono trasmissioni digitali, come quelle che utilizza per esempio il

nuovo sistema DSC presente su radio VHF e MF/HF di ultima generazione per soddisfare

la normativa SOLAS, che permette di trasmettere insieme a un messaggio di soccorso sia

il nominativo della stazione trasmittente sia la sua posizione ricavata dal collegamento

con il GPS. Esistono poi le trasmissioni in fax, quelle grazie alle quali possiamo ricevere i

famosi meteofax, insomma, le modalità di utilizzo delle onde radio sono davvero tante,

ma noi cercheremo di prendere in analisi solo quelle che maggiormente ci interessano

come uomini di mare che navigano per il solo piacere di navigare.

Questa modalità di trasmissione è molto diffusa in quanto per le sue caratteristiche è

abbastanza immune da disturbi, interferenze e simili. Il nostro VHF la utilizza e come è

possibile verificare da tutti, la trasmissione e la ricezione dei segnali è chiara e non richiede

aggiustamenti di nessuna natura. Non vogliamo spiegarla tecnicamente, anche

perché sarebbe un esercizio inutile, ma ci preme far comprendere un elemento, ossia, che

come per l’ampiezza modulata, la AM, quando premiamo il pulsante per la trasmissione,

il PTT, ossia Push to Talk, la potenza irradiata dal nostro apparato è quella per cui è stato

regolato. Dunque, di solito sugli apparati più comuni 1 Watt o 25 W, la cosa importante

da comprendere è che questa potenza è irradiata anche quando stiamo in silenzio ma

teniamo premuto il PTT sul microfono. Non è difficile intuire che il consumo di energia e

il calore generato dipendono molto dalla durata della comunicazione.